Opere

La pittura di Clelia Adami

Padroneggiate e sperimentate in ogni loro risorsa le regole e le tecniche pittoriche classiche, la Adami sente pressante il bisogno di trovare la direzione che le consenta di esprimere appieno la propria individualità.
Decide così, pezzo dopo pezzo, di abbattere ogni schema prefissato dalla sua capacità tecnica, ben consapevole del rischio dell’inefficacia di un gesto che vuole essere autentico anche a costo di essere anticonvenzionale. Tale urgenza espressiva viene così incanalata nella scelta del medium pittorico: all’interno di una cornice classica e tradizionale (la pittura), l’artista ricerca una modalità di comunicazione che si rivela spesso antitradizionale, che vada oltre il rigore formale e l’armonia compositiva e sia frutto di una personale urgenza interiore. Clelia si colloca infatti all’interno di uno stile espressionista, inteso sia in senso storico (inizio del Novecento con Schiele, Kirchner, Kokoschka…) sia in senso moderno (secondo Novecento con Bacon, Freud…), dal momento che lo sguardo è rivolto all’interno del soggetto rappresentato per portare alla luce la sua verità.
Così facendo Clelia interroga se stessa e si trova a leggere anche la propria intimità riflessa nelle figure delle sue opere: esse nascono sempre da immagini da cui si sente fortemente colpita e delle quali avverte l’urgenza espressiva. L’artista è passata dal ritrarre volti e corpi chiaramente riconoscibili a figurazioni in cui si fatica a distinguere il soggetto, perché protagonisti sono il colore e i gesti con cui viene trattato. I principali modelli artistici sono proprio gli artisti della Secessione viennese o dell’Espressionismo tedesco, che vengono poi reinterpretati in chiave personale con pennellate e spatolate di colore che sostanziano l’opera. Proprio il sempre maggiore protagonismo del colore, usato in modo antinaturalistico, nelle opere più avanzate spinge Clelia in direzione di un Espressionismo astratto sui generis, in quanto il riferimento alla figurazione non scompare, ma viene trasfigurato da tonalità stese in modo gestuale e fino, in alcuni casi, anche da grandi colate di colore (una sorta di dripping). Fin dalle sue prime espressioni e ancor più chiaramente dalla mostra personale "Senza Condizioni" (2009), infatti, l’artista definiva il proprio lavoro come un intervento basato su gesti soggettivi e incondizionati, che permettessero di raccontare la verità secondo la sua esperienza e sensibilità, eliminando ogni sorta di intervento avente lo scopo di facilitarne la fruizione. E la sua ricerca è proseguita negli anni fino a maturare la consapevolezza che, per raggiungere ciò, il segno si deve fare tagliente, il colore materico e il gesto espressivo; quest’ultimo è sì guidato, ma contemporaneamente fortemente spontaneo e rivelatore di un’interiorità che si dispiega tramite segni ampi, intensi e penetranti. Sempre secondo la logica di una profonda libertà d’esecuzione, anche i supporti e le tecniche utilizzati sono diversi: si passa dalla tela alla juta grezza, al cartone, al legno e a diversi supporti metallici, mentre i colori – a olio, oltre che smalti, bitumi, fusaggini, calci, stabiliture, … – sono stesi con pennelli, spatole, spugne o attrezzi di fortuna (stracci, canovacci e nelle opere più recenti anche direttamente con le mani). L’ansiosa irrequietezza dei volti del primo periodo viene resa a volte con pennellate istintive e nervose, alternate a gesti più rilassati e meditati; con l’evolversi della consapevolezza artistica, lo stesso senso di inquietudine e tragicità si rivela con una ancor maggiore intensità e violenza anche nelle opere dell’ultimo periodo, mostrandosi così come naturale approdo dei primi lavori.

Marisa Paderni

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